Una ragionevole follia: riflessione dopo un mese in libreria
Quasi impossibile descrivere l’emozione che si prova nel tenere fra le mani un romanzo finito. Al resto delle persone, sarà un semplice masso di carta e inchiostro. Ma per uno scrittore, è qualcosa di molto più intenso. Aprire un libro pubblicato per l’autore è come specchiarsi nella propria interiorità più profonda, in un mare di pensieri, emozioni, esperienze vissute e immaginate. Un romanzo dovrebbe essere una parte importante della vita e della crescita di uno scrittore: personaggi studiati nel dettaglio, intrecci analizzati per giorni, colori e suoni e sapori immaginati per mesi… in fondo scrivere è un lavoro di anima e cuore, ma soprattutto di grande individualità. Per tutti questi motivi, vedere il proprio romanzo fra le mani di lettori sconosciuti e sugli scaffali delle libreria diventa spesso un’esperienza complessa.
Nella mia vita a Londra, una città splendida ma in continuo movimento, spesso dimentico di fermarmi per un attimo, chiudere gli occhi, riscoprire il mio lato più creativo. Ma ogni volta che tengo in mano una ragionevole follia, il mio quarto romanzo, la profondità del suo messaggio mi emoziona sempre. Credo che sia per questo che desidero così tanto condividere questa storia con i miei lettori, sperando che anche loro possano innamorarsi della complessità dei personaggi e apprezzare l’intensità delle emozioni e le esperienze descritte.
Dopo un mese dall’uscita del romanzo in libreria, ho davvero apprezzato i commenti positivi di vari lettori, e questo mi ha ricordato che lo scopo di ogni lettore alla fine è proprio lasciare che il proprio romanzo, le proprie immagini, i propri personaggi vengano assorbiti, compresi e anche modificati a seconda della propria sensibilità.
Una ragionevole follia è un romanzo che definisco sempre dal finale aperto. Ovvero, ho cercato il più possibile di rendere il romanzo accessibile per varie personalità, generi, caratteri e prospettive. La stessa storia potrebbe essere letta in modi completamente diversi a seconda della sensibilità o dei pregiudizi sociali e culturali di ogni lettore. Mi piace credere che non esista una profonda verità del romanzo, che non possa esistere un ufficiale giudizio di questa storia, perchè credo che un buon romanzo si debba in parte scrivere da solo… e così mi sono fatta trascinare dalla mia passione e dal profondo fascino per i personaggi che ho creato. Per me l’emozione più grande è stato accorgermi che molti lettori hanno iniziato a riflettere su questioni importanti una volta arrivati all’ultima pagina del libro. Ho ricevuto commenti di amici affascinati dal concetto di libertà all’interno del romanzo, altri stupiti dal tema della follia e della malattia mentale, altri ancora dubbiosi sui significati dell’amore in diversi contesti e diverse sfumature.
Volevo che questo romanzo fosse enigmatico. Che fosse una storia complessa, misteriosa, oscura, eppure volevo anche che avesse in sé una purezza rinfrescante, una dolce fuga dai valori superficiali del ventunesimo secolo. Volevo che questo fosse un romanzo in cui ogni lettore potesse in qualche modo ritrovare se stesso, in cui ogni lettore potesse riflettere sulla nostra vita, sulle persone che ci circondano, e che finisse per farsi domande importanti sui propri pregiudizi e le proprie percezioni.
Scrivere questo romanzo è stato un percorso intenso e meraviglioso. Un percorso che mi ha fatto riflettere, crescere. Quale fosse il mio scopo? Emozionare, coinvolgere, far riflettere. Adesso sono così felice di vedere il romanzo in mano a lettori diversi che cercano di darvi una propria interpretazione. Il potere dell’arte è infinito, e la scrittura è uno strumento importante. Spero che la gente non si dimentichi mai dell’importanza che ha guardare le cose da un altro punto di vista.